Un pò di chiarezza sui termini:
Corona virus disease 19 (COVID-19) è il nome di una patologia, che tradotto dall’inglese significa letteralmente malattia da coronavirus, dove 19 sta per 2019, ovvero l’anno in cui è stata identificata.1 Questa malattia è causata da un virus appartenente alla sottofamiglia Orthocoronavirinae (noti anche come coronavirus) della famiglia Coronaviridae. Essendo la patologia causata da un nuovo ceppo di questi coronavirus, il nome temporaneo inizialmente assegnatogli è stato 2019-nCoV (che sta per novel, cioè nuovo, coronavirus del 2019).
Successivamente, studi di genomica comparativa (cioè confronto del materiale genetico di questo virus con altri noti) ne hanno permesso la classificazione (tassonomia).2 In particolare, è stata riconosciuta una elevata similarità genetica con il già noto SARS-CoV, coronavirus causa della epidemia di SARS (Severe acute respiratory syndrome, cioè sindrome respiratoria acuta grave) avvenuta nel 2003. Per tale ragione, al temporaneo 2019-CoV è stato attribuito il nome di SARS-CoV-2.
Come è fatto?
Il
virione, ovvero la
forma infettiva del virus quando si trova al di fuori delle nostre cellule, è costituito da un involucro esterno, il pericapside (detto anche envelope). All’interno di questo è custodito il materiale genetico del virus, sotto forma di un RNA a singolo filamento positivo. L’importanza di questo singolo filamento risiede nel contenere tutte le informazioni necessarie per produrre i pezzi, e su come assemblarli, affinché un’altra copia del virus possa essere generata (una sorta di manuale di istruzioni completo). Tuttavia,
il virus non è in grado di riprodursi autonomamente, ma ha bensì bisogno di essere ospitato da una cellula (detta cellula ospite) di cui sfrutta ambiente interno e risorse.3
Come funziona?
In breve, un virione riconosce una cellula, penetra all’interno di questa, svolge la propria replicazione (cioè crea tante copie di sé stesso, si moltiplica), e infine abbandona la cellula. Questa cellula ospite, che si definisce in questo caso infetta, come conseguenza all’attacco da parte del virus andrà incontro a una serie di complicanze e disfunzioni, alla base della malattia.
Come avviene il riconoscimento della cellula ospite da parte del virus?
Sulla superficie del pericapside il virione presenta una serie di protuberanze verso l’esterno. Si tratta di proteine, definite Spike (ovvero “punte”, come una sorta di aghi verso l’esterno). Queste conferiscono il tipico aspetto a corona (simile a una corona solare o una corona reale), che dà appunto il nome alla famiglia del virus.
Attraverso queste proteine Spike, il virus è in grado di riconoscere e ancorarsi a una cellula ospite.4 In particolare, la proteina Spike riesce a legarsi in maniera specifica ad un’altra proteina, presente nell’involucro esterno (la membrana cellulare) della cellula ospite, dal nome ACE2.5 Quest’ultima è molto presente (si dice che è molto espressa) in cellule che compongono i tessuti di polmoni e cuore, da cui possiamo ben capire perché causi una patologia a danno polmonare.
Come si è originato?
Come abbiamo detto, si tratta di un nuovo coronavirus. Ovvero, sappiamo che ha caratteristiche ben riconoscibili che ci permettono di classificarlo nella famiglia Coronaviridae, sottofamiglia Orthocoronavirinae, ma è sufficientemente diverso dagli altri da poter affermare che si tratti di un nuovo ceppo.
Nonostante gli studi effettuati fino ad ora non abbiano ancora permesso di identificare con certezza la fonte del virus, ci sono evidenze che hanno portato a pensare ad un salto di specie.6 Ovvero, a partire da una forma in grado di diffondersi solamente nel mondo animale, è comparsa una forma patogena per l’uomo (trasferimento zoonotico), cioè in grado di infettarlo. Si tratta di un meccanismo noto, è in effetti il terzo caso documentato di salto di specie verificatosi negli ultimi due decenni (SARS nel 2003 ad opera del virus Sars-CoV; MERS, sindrome respiratoria mediorientale, nel 2012 ad opera del virus MERS-CoV).2
Questo accade verosimilmente come conseguenza di modifiche nel virus stesso. Mediante confronti con altri coronavirus noti, è avanzata l’ipotesi che il pipistrello7 possa aver svolto la funzione di serbatoio del virus, ma che si sia passati attraverso altri animali8 prima di arrivare all’uomo.
Il ruolo della ricerca scientifica
Per poter escogitare e adottare soluzioni di intervento, è di fondamentale importanza capire come un patogeno sia in grado di diffondersi e il meccanismo attraverso cui è in grado di infettare un organismo (umano in questo caso). Se a livello macroscopico l’elevato grado di infettività ha fatto muovere verso un sostanziale contenimento del contatto fisico tra le persone, l’acquisizione di conoscenze sulla scala microscopica di struttura e meccanismo di azione del virus risulta essenziale per lo sviluppo di un possibile farmaco.
Ad esempio, riportiamo la recente e tempestiva identificazione dell’intera struttura della proteina Spike.4 Questa proteina, attraverso il riconoscimento e legame di ACE2, permette l’accesso alla cellula ospite.5Bloccare questo passaggio potrebbe pertanto risultare una strategia ragionevole per contrastare l’ingresso del virus. A tal fine, conoscere in dettaglio come sia fatta la proteina Spike (cioè la sua struttura), e in particolare il punto di ancoraggio ad ACE2, può risultare uno strumento decisivo per sviluppare un farmaco che interferisca con questo meccanismo di riconoscimento.
Acquisire una informazione di questo tipo può risultare una risorsa preziosa anche nell’ottica di sviluppare un possibile vaccino.9 Una volta entrato a contatto con il nostro organismo, il virione viene riconosciuto come elemento estraneo dal nostro sistema immunitario, che attiva una risposta di difesa per contrastarlo. Ad essere riconosciuti sono tipicamente componenti di superficie del virione, quale ad esempio la proteina Spike.
Quando l’organismo supera la patologia, a un nuovo attacco del virione il sistema immunitario sarà già allenato a difendersi. In maniera molto semplificata, tale principio viene utilizzato nello sviluppo dei vaccini: l’organismo viene volontariamente esposto ad una componente (non all’intero virione!) dell’agente patogeno, incapace di far insorgere la patologia ma sufficiente a stimolare il sistema immunitario, il quale attiva una risposta di difesa e ne fa memoria.
NOTA: L’ACE2 è il bersaglio di una classe di farmaci antiipertensivi noti e molto diffusi. Nonostante siano state avanzate ipotesi su un presunto effetto di terapie a base di questi medicinali nella trasmissione ed evoluzione della malattia COVID-19, ad oggi non sono state rilevate sufficienti evidenze scientifiche che giustificherebbero una modifica della terapia in atto.
Dal sito dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco): “[…] in base alle conoscenze attuali, si ritiene opportuno raccomandare di non modificare la terapia in atto con anti-ipertensivi (qualunque sia la classe terapeutica) nei pazienti ipertesi ben controllati, in quanto esporre pazienti fragili a potenziali nuovi effetti collaterali o a un aumento di rischio di eventi avversi cardiovascolari non appare giustificato.”10 Posizioni analoghe sono state espresse da altri organi con competenza in merito.
Riferimenti:
- http://www.salute.gov.it/portale/p5_1_2.jsp?lingua=italiano&id=228
- https://www.nature.com/articles/s41564-020-0695-z
- https://it.wikipedia.org/wiki/Orthocoronavirinae
- https://science.sciencemag.org/content/367
- https://science.sciencemag.org/content/early
- https://www.nature.com/articles/s41591-020-0820-9
- https://www.nature.com/articles/s41586-020-2012-7
- https://www.nature.com/articles/s41586-020-2169-0
- https://www.nature.com/articles/s41423-020-0400-4
- https://www.aifa.gov.it/-/precisazioni-aifa-su-malattia-da-coronavirus-covid-19-ed-utilizzo-di-ace-inibitori-e-sartani
Ringraziamo il Prof. Mattia Bernetti della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste | SISSA · Molecular and Statistical Biophysics Group, per averci messo a disposizione le sue competenze.
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